
CASA EDITRICE: Carbonio Editore
COLLANA: Cielo stellato
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2020
PREZZO DEL CARTACEO: €16,00
PAGINE: 183
TRADUZIONE: F. Annicchiarico
“Nella mia vita certi eventi si ripetono come in un rondò.”
Anni ’30 del Novecento, siamo in un sanatorio sul Baltico. La nostra “guida” è una donna di cui non sappiamo il nome, relegata nell’istituto da molti anni.
“Mangiamo, passeggiamo, giochiamo a tennis: non c’è niente che ci distolga da tutto questo. Siamo piuttosto in salute, forse solo un po’ stanchi, un po’ perduti. Abbiamo il diritto di vivere.”
La protagonista, tempo prima, è stata testimone del ritrovamento del cadavere dell’attrice Jadwiga Rathe, ospite del padre nella tenuta di famiglia, Buio.
Capiamo fin da subito che in questo libro niente è reale e tutto è possibile. Dopotutto, le lenti attraverso cui veniamo a conoscenza di questa storia sono gli occhi di una donna internata, una mente non affidabile né oggettiva, i cui ricordi e percezione della realtà sono offuscati e obnubilati.
“Ho sempre saputo che prima o poi sarei tornata a Buio.”
Al momento delle dimissioni, è il fratello maggiore Franciszek ad andarla a prendere. Durante i tentativi di ritorno alla normalità, tra una passeggiata al parco e una capatina al café, la donna si imbatte in alcuni personaggi eccentrici che sembrano avere informazioni a proposito della morte di Jadwiga. Tutto converge a Buio, vera protagonista del libro, luogo clou della vicenda e testimone silenzioso di segreti inconfessabili.
“Quasi tutto ciò che è accaduto a Buio è falso, eppure non riesco ancora a pensare a quel periodo senza che il cuore mi si riempia di nostalgia.”
Il presente che la donna ci presenta è un “adesso” inceppato, che continua a voltarsi indietro al passato, in un vorticare di flashback e narrazione presente, in cui, inevitabilmente, ricordi e realtà finiscono per incrociarsi e mescolarsi in un nietzschiano eterno ritorno.
“I miei ricordi di Buio sfociano tutti in un’assolata eternità, in cui noi giochiamo liberi dai vincoli del tempo.”
Buio, della polacca Anna Kańtoch, classe 1976, è un viaggio misterioso nella mente della voce narrante, un febbrile tentativo di scoprire la verità, una storia conturbante e ipnotica sviluppata con uno stile potente, consapevole e maturo, che ci parla di infanzia, turbe psicologiche, identità, sessualità e omosessualità femminile come affrancamento dal patriarcato.
“Le due immagini si sovrappongono, entrambe nitide e realistiche, anche se solo una delle due può essere veritiera. Ormai è sempre così con i ricordi.”
Consigliato!
In collaborazione con Carbonio Editore.
Me lo segno! Bella annata, il 1976… 😀
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😂😉 Sei del ’76, Luca?
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Sì 🙂
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Ho letto recensioni contrastanti, ma è in lista di lettura… prima o poi… la coda cresce 🙂
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Non è un testo semplicissimo e scorrevole, c’è da dirlo. Però cattura!
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Dovrei arrivare a leggerlo entro novembre, di questo passo, sono curiosissimo
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Se ti va, poi, fammi sapere! 🙂
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Certo! Con piacere
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Ribloggo, se posso, questo articolo (non in tempi brevi comunque… 🙂 )
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Va bene! Attendo news 😁
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