Consigli lesti e onesti

“Mia nonna d’Armenia” – A. Romand

CASA EDITRICE: La Lepre Edizioni

COLLANA: Visioni

ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2020

PREZZO DEL CARTACEO: €16,00

PAGINE: 125

TRADUZIONE: D. Petruccioli

PREFAZIONE: Dacia Maraini

“La gente leggerà il nostro dolore stampato nei libri, seduta in poltrona. Ma un libro può descrivere sul serio l’insieme dei nostri dolori? Impossibile.”

Già, è decisamente impossibile racchiudere in poche pagine un dramma come il genocidio degli armeni perpetrato dai turchi dal 1915 al 1918. Eppure Mia nonna d’Armenia ci riesce. 

“Io la lascio in pace, la capisco, rivive certi momenti della sua vita. ‘Aksor’ come dice lei, il Massacro. Rimasticare tutte queste cose le serve, cerca di mandarle giù ancora e sempre. […] Quando riapre gli occhi, vedo donne che supplicano inginocchiate, grida, bambini sperduti.”

Testimonianza diretta di un orrore che la Storia (e chi la fa) ha tenuto per troppo tempo vergognosamente silente, questo libro edito La Lepre Edizioni è parte del diario di Serpouhi, superstite del massacro armeno, alternato alle parole della nipote Anny, la quale riporta ciò che è successo alla nonna con delicatezza, ingenuità, curiosità ma contemporaneamente con lucidità e consapevolezza. È l’unica che ama ascoltare i resoconti strazianti di Serpouhi ed è l’unica che condivide le lacrime della donna.

Mia nonna d’Armenia è un piccolo ma immenso racconto fatto di stralci di un passato doloroso che va necessariamente raccontato. Ad ascoltarlo è una Anny bambina la quale – talmente tanta è l’empatia – si immedesima più volte nella parte dell’ascendente. Con calma e profondità, serbando un dolore mai sazio di lacrime e tormento, la nonna narra la storia delle sue origini e di ciò che il popolo armeno dovette subire. Da adulta, nel 2014, Romand ritrova il diario in armeno e in francese in cui tutto è stato messo per iscritto.

“Siamo gli orfani di questo mondo, senza patria, senza focolare.”

Serpouhi nasce nel 1883 a Samsun, porto turco sul Mar Nero. Con il padre ingegnere si trasferisce in Palestina, a Nazareth, dove impara il francese. Alla morte del genitore, la famiglia perde tutto e, a quindici anni, dopo essere tornata a Samsun, Serpouhi viene data in moglie a Karnik, un ricco commerciante di Trebisonda. I due ebbero quattro figli (due di essi vivi al momento dell’inizio del genocidio). Il marito venne trascinato via da casa e presumibilmente ucciso subito con tutti gli altri uomini armeni. Un’indicibile sorte ebbe la figlia di quattro mesi. Serpouhi venne portata a sud verso la morte con il figlio di quattro anni. La donna trovò la forza di lasciare il bambino presso una famiglia di contadini e, miracolosamente, riuscì poi a scappare dai suoi aguzzini. Dopo due anni di latitanza, arrivò da alcuni parenti sopravvissuti a Costantinopoli. Il pensiero di dover ritrovare suo figlio Jiraïr la fece andare avanti, nonostante tutto.

Mia nonna d’Armenia è una testimonianza spacca-cuore, dolorosa, ma troppo necessaria.

Consigliatissimo.

In collaborazione con La Lepre Edizioni.

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